I soggetti in grado di compiere maltrattamenti sugli animali possono manifestare verso la componente più fragile della società i medesimi comportamenti.
L’FBI ( il Federal Bureau of Investigation) ha classificato i dati relativi agli abusi sugli animali come « crimini contro la società », in ragione dell’associazione di tali reati con altri crimini violenti. Sulla base dei dati precedenti rilevati, il 46 per cento degli assassini seriali, durante l’adolescenza, ha maltrattato degli animali, mentre l’86 per cento delle donne vittime di abusi aveva segnalato violenze nei confronti dei propri animali.
“Le persone che commettono un singolo atto di violenza sugli animali sono più portate a commettere altri reati rispetto a coloro che non hanno abusato di animali. Come segnale di un potenziale comportamento antisociale – che include ma non si limita alla violenza – atti isolati di crudeltà nei confronti degli animali non devono essere ignorati dai giudici, psichiatri, assistenti sociali, veterinari, poliziotti e tutti coloro che incappano in abusi sugli animali durante il proprio lavoro”. (The Web Of Cruelty: “What animal abuse tells us about humans”, di Arnold Arluke).
Questi costituiscono ulteriori motivi per i quali non può non apparire opportuno uscire quanto prima dal rigido paradigma della pietas nei confronti degli animali, elevando la tematica in esame ad argomento ben più articolato e complesso, quale di fatto è, che esplica le sue conseguenze su un panorama ben più ampio nella nostra società.
É possibile affermare, infatti, che il contrasto alla crudeltà sugli animali possa costituire, in generale, un efficace strumento di prevenzione del crimine.
É parallelamente fondamentale, dunque, l’approccio che le Forze dell’ordine dovrebbero assumere nelle indagini sui casi di maltrattamento di un animale, da considerarsi quali pericolosi campanelli d’allarme relativamente alla violenza che esiste in un determinato contesto – spesso familiare – e che meritano di essere esaminati in maniera adeguata. (Senato della Repubblica XVIII Legislatura )
La crudeltà fisica nei confronti degli animali è stata inserita fra i sintomi indicativi del disordine della condotta nell’edizione del DSM-III-R (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) del 1987.
Zoocriminalità minorile
La crudeltà sugli animali praticata da bambini o da adolescenti è riconosciuta scientificamente non solo come segnale di una potenziale patologia, ma anche come indicatore di pericolosità sociale.
Esiste inoltre la “zoocriminalità minorile”, che coinvolge bambini e adolescenti in violenze su animali, per iniziarli in tal modo alla vita delinquenziale. Negli Stati Uniti da anni studiano la correlazione fra comportamenti deviati contro gli animali da giovani e futuri serial killer e i killer d’impulso.
L’iniziazione di minori, da parte di organizzazioni o singoli criminali, alla vita delinquenziale avviene attraverso un severo e variegato tirocinio di agiti crudeli nei confronti di animali.
Come evidenziato nelle implicazioni psicologiche dell’esposizione di minori alla violenza su animali (https://www.animal-law.it/rivista-diritti-animali/animal-studies/link/crudelta-animali-conseguenze-sui-minori-esposti/), dove per esposizione si intende il coinvolgimento di un minore come spettatore o partecipante alla violenza stessa, la crudeltà su animali agita nell’infanzia o adolescenza può essere:
- sintomo di una situazione esistenziale patogena in atto (situazione familiare o ambientale caratterizzata da violenza fisica, psicologica, abuso sessuale o da tutte queste forme di violenza insieme)
- segnale predittivo, indicatore di potenziali futuri comportamenti antisociali in età adulta quali:
- a- aggressioni: deliberata crudeltà fisica verso gli animali o persone e atti di distruzione di proprietà (utilizzando spesso il fuoco)
- b- furti caratterizzati dalla presenza di una vittima: borseggio, estorsione, rapina a mano armata.
- c- rapimento, violenza sessuale, assalto, omicidio.
Gli studi sulla violenza interpersonale rilevano quindi che la violenza su animali non deve essere considerata come fenomeno isolato bensì anello integrante, nonché altamente predittivo e patogeno, di un intero ciclo di violenza.
Nell’infanzia e nell’adolescenza di molti serial killer si riscontrano i seguenti comportamenti comuni, raggruppati sotto il nome Triade di MacDonald:
- enuresi,
- piromania
- torture sugli animali.
I serial killer mostrano molto precocemente la mancanza di empatia che li porta da adulti ad accanirsi sugli esseri umani, ridotti a COSE come lo erano gli animali che hanno torturato da bambini.
La Federal Bureau of Investigation ha riconosciuto l’importanza di questa connessione già negli anni ’70, delineando i profili di alcuni serial killer. L’FBI ha scoperto che tutti i serial killer hanno un passato di violenze molto serie e ricorrenti ai danni degli animali. Inoltre, utilizza i verbali sui maltrattamenti agli animali per analizzare la potenziale minaccia data da sospetti criminali violenti o pregiudicati e, quando si tratta di valutare il livello di rischio di una persona tenuta in ostaggio, uno dei fattori che prende in considerazione è se il rapitore ha una storia di violenze su animali. L’esperienza dell’FBI con questo elemento ha fatto sì che anche la polizia locale e gli enti legislativi cominciassero a fare qualcosa al riguardo. Per esempio, nel 1990, solo sette Stati prevedevano misure penali per violenza su animali. Oggi il numero è salito a 41 più il Distretto di Columbia.
Attualmente in alcuni stati americani, e non solo, esistono sezioni speciali di polizia che si occupano delle implicazioni di tale legame.
Crudeltà su animali e violenza interpersonale
La letteratura scientifica internazionale evidenzia che esiste uno stretto legame tra crudeltà su animali e violenza interpersonale e che saper identificare le implicazioni sociali degli abusi su animali diviene fondamentale in qualsiasi progetto di prevenzione e trattamento della violenza interpersonale.
A tal proposito gli studi scientifici evidenziano cosa, per le vittime, possa significare l’abuso su animali nei casi di violenza domestica:
- offesa alla persona: i carnefici talvolta minacciano di fare del male ad un animale da compagnia come mezzo per indurre la donna a restare, per punire la vittima che se ne sta andando o come metodo coercitivo per farla tornare a casa. Un violentatore può minacciare di fare del male all’animale o fargli direttamente del male per poi ammonire la vittima di essere la prossima della lista. L’abuso ai danni degli animali è indicatore del fatto che la vittima rischia di trovarsi in una situazione letale. Un’azione ai danni di un animale da compagnia perpetrata dal soggetto violento può essere un chiaro segno di ciò che può capitare alla vittima. Se il violentatore, di fatto, arriva ad uccidere l’animale, tale crimine può rivelare l’intenzione di infliggere delle ferite molto serie – se non letali – alla vittima umana designata
- impatto sulla decisione di agire per autodifesa: una vittima potrebbe reagire più prontamente, con un’autodifesa, se sapesse che il maltrattatore è perfettamente in grado di recarle lo stesso danno appena inflitto all’animale.
Il 5 novembre 2000 nel NewYork Daily News appare un articolo in cui si riporta che 35 newyorkesi mai stati puniti per aver picchiato le proprie partner, erano in prigione o in terapia per aver maltrattato il proprio animale domestico.
Tutto questo si deve alla partnership che i procuratori distrettuali di Brooklyn e Staten Island hanno creato con l’unità di supervisione familiare della American Society for the Prevention of Cruelty to Animal, un programma anti-violenze che dal 1998 ha informato gli enti cittadini sul collegamento esistente fra i maltrattamenti agli animali e la violenza domestica.
In quell’occasione, il vice procuratore distrettuale Carol Moran, responsabile del progetto, ha dichiarato: “Una persona che tortura o uccide un animale è spesso violenta anche nei confronti delle persone. Ne consegue che le condanne per maltrattamenti agli animali permettono di mettere i soggetti che compiono abusi in prigione, o in terapia”.
Questo è solo uno dei numerosi esempi della stretta collaborazione che negli Stati Uniti e in Gran Bretagna si sta realizzando tra gli operatori che si occupano della cura e della protezione degli animali e gli operatori che si occupano della cura e della protezione dei bambini e, in genere, di tutti gli individui che sono oggetto di violenza. A San Diego (California) per esempio, nei casi di abuso infantile, gli operatori sociali hanno l’obbligo di riferire sulle condizioni di salute e sul trattamento degli animali domestici di quelle famiglie.